
Nel nostro ordinamento giuridico non esiste una normativa del p2p lending. Per dare un fondamento giuridico a tale attività si fa riferimento al contratto di mutuo, definito dall’art. 1813 c.c. come “Il contratto nel quale una parte consegna all’altra una quantità determinata di denaro o di altre cose fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose della stessa specie o qualità” con l’aggiunta ex art. 1815 c.c. degli interessi se espressamente pattuiti nel contratto. Il fatto che un soggetto privato presti denaro ad altri privati è perfettamente lecito, ciò che un soggetto non può gestire è l’esercizio professionale di questa pratica, in quanto configurabile come attività creditizia, esercitabile unicamente da intermediari finanziari autorizzati dalla Banca d’Italia ed iscritti in un apposito Albo ex art. 106 ss. TUB. L’esercizio abusivo è sottoposto a sanzione penale.
La direttiva europea 2007/64/CE soddisfa i seguenti obiettivi:
- regolamentare l’accesso al mercato per favorire la concorrenza nella prestazione dei servizi;
- garantire maggiore tutela degli utenti e maggiore trasparenza;
- standardizzare i diritti e gli obblighi nella prestazione e nell’utilizzo dei servizi di pagamento per porre le basi giuridiche alla realizzazione dell’Area unica dei pagamenti in euro (SEPA);
- stimolare l’utilizzo di strumenti elettronici e innovativi di pagamento per ridurre il costo di inefficienti strumenti quali quelli titoli di credito ed il contante.
La direttiva distingue sei categorie di prestatori di servizi di pagamento:
- gli enti creditizi ivi inclusi le succursali e gli enti creditizi con sede nell’UE o al di fuori dell’UE;
- gli uffici postali che prestano servizi di pagamento;
- gli istituti di moneta elettronica;
- gli istituti di pagamento;
- la Banca centrale europea e le banche centrali nazionali ove non agiscano come autorità monetarie o come autorità pubbliche;
- gli Stati membri o le rispettive autorità regionali e locali ove non agiscano come autorità pubbliche.
Il social lender è un introdotto nuovo intermediario finanziario che si affianca agli istituti di pagamento tradizionali e agli istituti di moneta elettronica (IMEL) autorizzati (ex art.114-septies TUB) a prestare servizi di pagamento su tutto il territorio dell’Unione Europea. L’autorizzazione a svolgere l’attività di prestatore di servizi di pagamento, secondo quanto prevede la PSD, è necessaria al fine di garantire il rispetto di requisiti prudenziali proporzionati ai rischi operativi e finanziari cui sono esposti tali organismi nel corso della loro attività. Al riguardo, la normativa considera che i requisiti per gli istituti di pagamento siano decisamente più modesti rispetto a quelli relativi agli enti creditizi quali banche e società finanziare, in relazione al fatto che essi esercitano attività più specializzate e limitate e sono esposti di conseguenza a rischi più contenuti, più facili da monitorare e controllare di quelli derivanti dalla più ampia gamma di attività degli enti creditizi.
In Italia, l’autorizzazione all’esercizio dell’attività dei sistemi di pagamento viene rilasciata dalla Banca d’Italia che verifica i requisiti della forma societaria (SpA), del capitale versato e della professionalità dei soggetti che sono designati quali amministratori della società. Valuta, inoltre, l’adeguatezza del programma, l’idoneità dei soci e l’organizzazione amministrativa e contabile dell’impresa. Banca d’Italia nega l’autorizzazione qualora non sussistano le condizioni di una sana e prudente gestione. Il capitale minimo iniziale, da versare interamente per poter esercitare la professione, varia in funzione dei servizi offerti. In particolare, il capitale minimo deve esser pari almeno a 20 mila euro, quando l’istituto di pagamento presta solo il servizio di rimessa di denaro. E’ elevato a 50 mila euro, quando l’istituto di pagamento presta il servizio di esecuzione di operazioni di pagamento ove il consenso del pagatore, ad eseguire l’operazione di pagamento, sia dato mediante un dispositivo di telecomunicazione, digitale o informatico. Infine, il limite è innalzato a 125 mila euro, quanto l’istituto di pagamento presta uno o più dei seguenti servizi:
- deposito di contante su un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;
- prelievo di contante da un conto di pagamento nonché tutte le operazioni richieste per la gestione di un conto di pagamento;
- esecuzione di ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utente o presso un altro prestatore di servizi di pagamento;
- esecuzione di operazioni di pagamento quando i fondi rientrano in una linea di credito accordata ad un utente di servizi di pagamento;
- emissione e/o acquisizione di strumenti di pagamento.
L’autorizzazione è valida in tutti gli Stati membri e viene iscritta in un registro comunitario periodicamente aggiornato ed accessibile al pubblico attraverso la rete internet.
Il social lending si configura dal punto di vista economico come prestito personale non finalizzato all’acquisto di un determinato bene. Non è vietato comunque erogare finanziamenti per l’avvio di un’attività d’impresa o per l’acquisto di macchinari ed impianti. Solitamente, l’operatore di social lending svolge l’attività di trasferimento di somme di denaro da uno o più soggetti ad uno o più altri soggetti. Da un punto di vista giuridico entrambi i soggetti (prestatore e richiedente) pattuiscono un contratto a distanza con l’impresa di social lending. In particolare, il richiedente si riconosce debitore nei confronti di un numero circoscritto di prestatori, ognuno identificato dal suo nickname. Le somme versate all’istituto di pagamento da parte dei prestatori al momento della concessione del finanziamento e dai debitori al momento della restituzione di esso, costituiscono un patrimonio distinto da quello della società di capitali che svolge tale attività. Le società di social lending devono, inoltre, costituire un patrimonio di vigilanza che deve essere almeno pari all’ammontare del capitale iniziale minimo richiesto per la costituzione della società. In caso di fallimento della società regolarmente iscritta nel registro apposito, il denaro del prestatore non è aggredibile dalle azioni dei creditori della società di social lending e la restituzione delle rate residue prosegue a cura della procedura fallimentare. In caso di morosità di uno o più richiedenti, l’impresa di social lending attiva i programmi di recupero crediti a nome e nell’interesse di tutti i prestatori coinvolti. Il prestito non è protetto da garanzie nel caso di default, cioè di fallimento, del richiedente. In questo caso i prestatori saranno dei normali creditori chirografari e non dei creditori privilegiati, i cui crediti sono assistiti da privilegio, pegno o ipoteca e pertanto verranno soddisfatti prima dei crediti chirografari. Poiché, i prestiti di social lending si realizzano attraverso la rete internet, sono qualificabili come contratti a distanza di servizi finanziari tra consumatori. In questo caso, ad essi si applicano le norme a tutela dei consumatori previste ex art. 67-bis – 67-vicies bis del Codice del consumo (decreto legislativo 206/2005), che si sostanziano, essenzialmente, nel diritto di informazione precontrattuale (cioè nel diritto di ricevere una serie di informazioni previste dalla legge prima che il contratto sia concluso) e nel diritto di recesso dal contratto entro 14 giorni da parte del consumatore, senza penalità e senza necessità di indicare il motivo del recesso.
FONTI
- DIRETTIVA 2007/64/CE
- TESTO UNICO BANCARIO
- DECRETO LEGISLATIVO 27 GENNAIO 2010, N. 11
- DISPOSIZIONI DI VIGILANZA PER GLI ISTITUTI DI PAGAMENTO E GLI ISTITUTI DI MONETA ELETTRONICA
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